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Corrado Novello


Presentazione “Ricerche Estetiche”



Percorso Artistico

1964/1967 - Istituto d’Arte “P:Selvatico” Padova - Iscrizione alla scuola e conseguo il diploma di maestro d’arte in decorazione pittorica

1964 - Si costituisce il “gruppo Castelfranco” - Aderisco alla libera associazione di giovani artisti che si propone di confrontare idee ed opere, partecipare a mo-stre, informare su attività artistico-culturali etc

1964 - Mostra “La religione nell’arte” Thiene (VI) - Selezionato, partecipo alla mostra con un carboncino su cartone

1965 - Mostra Collettiva “Premio Omaggio a Castelfranco Veneto” - Partecipo alla mostra “Premio Omaggio a Castelfranco Veneto” nella quale viene segnalata la una mia opera che si ispira alla pittura “informale”. Il premio, al quale parteciparono Il Gruppo Ted, il Gruppo N. ed altri importanti artisti italiani contemporanei viene assegnato a Getulio Alviani


1965 - Premio Nazionale di Pittura “Bruno Pendini” Padova - Una mia opera tra le 240 in concorso è selezionata all’esposizione della galleria d’arte “Primo Piano” di Padova

1967 - Fiera di Padova - Selezionato a rappresentare l’Istituto Statale d’Arte “P. Selvatico” con un mio elaborato in plexiglass (modello in scala di un pannello divisorio orientabile)

1967 - Seguo il C.S.D.I.Venezia - Mi iscrivo e conseguo il diploma al Corso Superiore di Di-segno Industriale di Venezia

1968 - Galleria “Sincron” - Sono presente nella mostra collettiva alla quale partecipano: Bigolin, Campesan, Nardin, Niero, Sartorello (artisti accreditati anche alla “Galleria Numero”di Fiamma Vigo

1968 - Manifestazione artistica ad Anfo, lago D’Idro (BS) - Partecipo con Sergio Bigolin alla mostra- evento “Un paese + l’avanguardia”. Viene esposta una struttura mo-bile percorribile ambientata sul territorio.

1968 - Manifestazione artistica a Novara - Mostra- evento “oltre l’avanguardia”

1968 - Milano - “I multipli” Galleria Milano

1967 - Galleria “Sincron” Bre-scia - Partecipo alla iniziativa denominata “Operazione Multi-pli/67” che si ripropone di promuovere ed avvicinare al grande pubblico l’arte “concettuale” con opere artistiche pensate per essere prodotte industrialmente. Il grande ispiratore è Bruno Munari. Vi partecipano numerosi artisti (Gruppo 7) che collaborano con la galleria Sincron (Brescia) di Armando Nizzi

1969 - Espongo alla Galleria “Studio Farnese” Roma - Mostra Collettiva “Proposte 69”. Componente del gruppo di artisti accreditato alla galleria

1969 - Galleria “Il Cerchio”, Roma - Mostra collettiva “Grafica 1969”

1973 - Insegno all’I.S.A. “M.Fanoli” - Sono assunto presso l’Istituto Statale d’Arte di Cittadella (PD) dove insegno fotografia

1974 - Presiedo il circolo cultu-rale ARCI di Castelfranco Veneto Per dieci anni, sono promotore di spettacoli teatrali, mu-sicali, mostre di arti visive, dibattiti, cineforum, etc

1975/1985 - Commissario Edilizio nel comune di Castelfranco Veneto

1990/oggi - Riprendo l’esperienza artistica


Breve Storia


A Compendio del "Curriculum Artistico" per Comprendere l’Evoluzione Tematica


Il mio interesse per il disegno nacque durante la frequentazione della scuola Media (allora non obbligatoria) dipingendo soggetti naturali, in particolare fiori, perché attratto dai colori.


Per questa naturale predisposizione fui indirizzato ad iscrivermi all’Istituto Statale d’Arte “P. Selvatico” di Padova. Fu la scelta migliore che potessi fare!


Nel frequentare l’I.S.A. mi si schiusero nuove prospettive. Il contatto con insegnanti e studenti della scuola d’arte furono un forte catalizzatore verso la creatività. In questo contesto, un piccolo gruppo di studenti della scuola, che da Castelfranco prendevano il treno per Padova, decisero di formare un gruppo allargato di giovani interessati al mondo dell’arte. Fu così che nacque nel 1964 il “Gruppo Castelfranco” al quale aderii con grande interesse partecipazione.



Antonio Niero, artista che nella “Castellana” già operava con discreto successo nel mondo dell’arte contemporanea, fu il mentore del gruppo. Forte delle sue esperienze in quanto componente del gruppo di artisti accreditati nella galleria “Numero” di Fiamma Vigo, orientò il gruppo nelle sue esperienze artistiche apportando le novità che venivano da tutta Italia e non solo.


Il gruppo si ritrovava saltuariamente nelle varie osterie del centro di Castelfranco per discutere, confrontare, apportare notizie, avvenimenti che avessero attinenza con il mondo dell’arte e della cultura.


Il mio inizio artistico fu, come dissi, la rappresentazione di oggetti naturali ma in poco tempo, stimolato da queste nuove esperienze, lasciai la rappresentazione figurativa per una più complessa e astratta.



In occasione del “Premio Castelfranco” (il premiato fu  Getulio Alviani) il gruppo partecipò alla selezione per la sezione giovani pittori e Sergio Bigolin, componente del “Gruppo Castelfranco” vinse il primo premio. In questa occasione, per la prima volta, fu esposto un mio elaborato segnalato dalla giuria. Si trattò di un quadro che riproponeva le tematiche dell’ “action painting” di Jackson Pollock  dove alla casualità del gesto e della gocciolatura tipico di questa tecnica, affiancai il tentativo di domare la casualità orientando il comportamento del colore pur lasciandolo gocciolare.



Il contatto con Antonio Niero e con gli artisti della Galleria “Numero” mi offersero la possibilità di incrociare a Venezia con esperienze artistiche diverse. In particolare alcuni artisti che in quel periodo operarono con Fiamma Vigo, si indirizzarono verso l’arte “programmata” mutuando e rielaborando l’esperienza che proveniva dalle opere del costruttivismo europeo (tedesco prima, russo poi) degli anni “20-30” ed in particolare dalla scuola della  “BauHaus” tedesca.


Il movimento italiano, al quale ci si ispirò, fu il razionalismo lombardo di Mario Radice ma anche al Movimento per l'arte concreta, o MAC fondato tra gli altri da Gillo Dorfles e Bruno Munari al quale aderirono, tra i più famosi: Veronesi, Perilli, Zanuso, Dorazio.


Fu in questo contesto culturale, ma anche storico e più ancora, sociale, che le mie idee presero un direzione che prosegui fino ai giorni nostri.


Devo, a questo punto, un chiarimento per meglio illustrare le motivazioni alla svolta che non fu solo artistica ma anche di vita; una svolta, che credo, coinvolse molti intellettuali italiani in quel periodo. Gli anni sessanta segnarono, secondo me, cambiamenti epocali nella società italiana e perciò nelle persone per diversi motivi.


Ed ecco spiegato il motivo del mio grande interesse per le arti che si preoccupavano o rivolgevano a questa nuova società di cui mi sentivo partecipe e di cui desideravo essere un interprete. L’”Arts and Crafts” di William Morris in Inghilterra, il BauHaus (la scuola di Weimar e Dessau) di Walter Gropius in Germania ma anche tutti I movimenti dell’arte moderna richiamavano a questa nuova società. Sono però i primi due movimenti che, secondo me, intendevano operare ma anche esercitare una forte modificazione ed emancipazione della società emergente. 


“Arts and Crafts” si preoccupava di salvaguardare le regole del buon artigianato rivolgendo il suo interesse alla produzione oggetti esteticamente armoniosi anche se di uso quotidiano presenti nelle case delle classi medie inglesi tra cui carta da parati, tessuti, mobili e vetrate etc.


“BauHaus” la scuola di arti applicate e architettura creati da Walter Gropius  (Weimar, Dessau), raccoglieva l’eredità e le indicazioni del Morris influenzando tutta l’arte moderna.


“L'esperienza del Bauhaus ha i suoi antecedenti nel clima culturale che si era venuto a creare da metà ottocento in Europa, soprattutto nei paesi anglosassoni, nel periodo storico successivo alla rivoluzione Industriale, che aveva prodotto la meccanizzazione dei sistemi produttivi, la crescita del proletariato e iniziato un processo di razionalizzazione e riduzione dei prezzi delle merci.” (Citazione Wikipedia).


Influenzato ed ispirato da queste idee che a me sembrarono calzare perfettamente in quel momento storico in Italia, iniziai una sperimentazione che si poneva questi obiettivi: L’artista dovendosi rendere interprete del proprio momento storico e rivolgere il proprio sguardo alla società sua contemporanea, avrebbe dovuto, nello stesso tempo, contribuire allo sviluppo ed al sostegno della società emergente. Non essere solo testimone, ma interprete, anticipatore e guida al “nuovo” avanzante, potendosi avvalere della propria sensibilità.


La mia ricerca estetica conseguentemente si rivolse ai nuovi materiali che la tecnologia metteva a disposizione del mondo industriale per proporre un nuovo approccio alla figurazione considerando contemporaneamente le nuove idee che il mondo della psicologia della percezione visiva andava proponendo con la “semiotica”. L’incontro con il prof. Silvio Ceccato e le sue teorie sulla cibernetica furono per me illuminanti, come pure le esperienze poetiche della poesia visiva in quegli anni molto avanti nelle sperimentazioni.


Sono gli anni in cui la Biennale d’arte di Venezia del 1966 certifica il ritorno alla razionalità e al rigore. Fu l'anno infatti dell'arte “optical, cinetica e programmata”. Gli spazi espositivi dei Giardini furono dominati dalle installazioni dell'argentino Julio Le Parc, premiato per la pittura e del venezuelano Raphael Soto.


Ed è in questo “brodo di coltura/cultura”  che il mio fare artistico nel 1967 si spostò dall’arte “informale” a quella più concreta e razionale. Impiegai nuovi materiali quali il Plexiglass, che con le sue trasparenze e lavorabilità mi offrirono la possibilità di proporre tematiche che avevan o attinenza con gli effetti ottici abbinati ai giochi cromatici. Il mio tema preferito, da un punto di vista formale fu il quadrato o il rombo (che altri non è che un quadrato ruotato).



In questo stesso anno terminai gli studi all’Istituto d’Arte di Padova e mi iscrissi al Corso Superiore di Disegno Industriale. Fu una scelta quasi automatica.


Conobbi in questa scuola maestri e argomenti che più si avvicinavano alle mie ricerche estetiche. Devo qui citare per riconoscenza, Luigi Veronesi, Italo Zannier, Mario De Luigi, Paolo Torsello, Giuseppe Mazzariol, Cristiano Gasparetto per citarne alcuni, ma non solo. Qui studiai con maggior consapevolezza la storia delle scuole di disegno industriale più sopra citate ma anche ricevetti un’impostazione progettuale che mi seguirà per tutta la vita.


La fine degli anni “60” si conclusero con un grande fermento sociale. Nel 1969 compaiono grandi movimenti tra studenti e operai che sono particolarmente attivi con dibattiti, occupazioni, manifestazioni e scioperi che coinvolsero sia la Facoltà di Architettura Venezia ma anche la zona industriale di Marghera. La nostra scuola ne f u coinvolta e la stessa didattica ne risentì. In particolare si pose il problema della relazione tra il ruolo del progettista e designer industriale nei confronti delle nuove richieste della società del tempo.


In quegli anni ebbero un grande successo gli scritti dei filosofi della scuola di Francoforte quali  Walter Benjamin con il suo libro “L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica” ed Herbert Marcuse con “L'uomo a una dimensione” e “Eros e Civiltà” che trattarono in modo diverso e nuovo i temi dell’estetica nell’arte contemporanea e del prodotto industriale in genere.


Nel 1968 incominciò la mia collaborazione con la galleria “Sincron” di Brescia che produsse una serie di mostre a livello nazionale tra Milano (Galleria Milano) Brescia e Roma (galleria “Studio Farnese” e galleria “Il Cerchio”). Furono collettive dove esposi sia oggetti ma anche grafica (materiali e documentazione andati perduti) di cui conservo i pieghevoli.



Di questa attività l’esperienza che ritengo più significativa fu il progetto “Operazione Multipli/67” fortemente voluto dall’animatore della galleria “Sincron” Armando Nizzi e fatto proprio dal maestro Bruno Munari. Qui di seguito copio/incollo i termini e le caratteristiche voluti da Munari. Con i multipli Munari intende perseguire il progetto di un’arte alla portata di tutti. Qui di seguito il "Manifesto dei Multipli“ scritto da Munari per gli Amici della Sincron in cui si spiega che cosa sono e perché nascono:



Nel 1971 il servizio militare di leva chiuse una fase della mia vita perché conclusi il ciclo di studi al Corso di Disegno Industria di Venezia, interrompendo le attività artistiche e tutti i contatti per più di un anno e mezzo. Lasciai alle spalle un periodo molto intenso di esperienze ma in conflitto con le mie stesse convinzioni. Il movimento giovanile che passa sotto il nome del “68 mi provocò un deragliamento intellettuale. 


Dopo alcune esperienze come grafico pubblicitario mi si offre l’opportunità di insegnare presso l’Istituto Statale d’Arte per la grafica e fotografia di Cittadella. Qui insegnai fotografia. La fotografia è parte integrante della mia formazione come pure la grafica grazie ai maestri Italo Zannier e Giulio Veronesi del C.S.D.I.V.


Negli anni Ottanta promossi come presidente del circolo ricreativo/culturale ARCI di Castelfranco Veneto mostre, dibattiti, iniziative musicali, cineforum.


Nel contempo prodigai il massimo sforzo nell’attività didattica ritenendo la posizione di insegnante privilegiata per promuovere le conoscenze artistiche ma anche professionali e umane degli studenti.


Sapendo quale fosse l’importanza della conoscenza per la promozione sociale avendola provata sulla mia persona, riversai sui miei studenti tutto quello che appresi per metterli nelle condizioni di crescere intellettualmente e realizzare così quel processo di progresso sociale ed umano che con l’azione artistica non riuscii e generare. Fui perciò a scuola un promotore di molte iniziative extra-scolastiche e sempre in prima linea nella gestione delle attività didattiche della scuola. Inutile dire che tutto questo fervore misero in secondo piano le aspirazioni di ricercatore estetico.


Per questo abbandonai la ricerca estetica pura.


Il senso di responsabilità per la formazione dei miei studenti ed il mio desiderio di costante aggiornamento verso le tecniche espressive della fotografia mi tennero costantemente attivo nell’aggiornamento che poi scaricavo nella scuola e nei miei studenti. Questa azione mi spinse a seguire per intero il passaggio dalle tecniche analogiche della foto-cinematografia a quelle digitali. Perciò, dallo sviluppo e stampa con i chimici e dall’uso della pellicola foto/cine passai gradualmente all’utilizzo degli strumenti digitali. In fotografia, a scuola, traghettai la riproduzione nel digitale passando dai primi personal computer IBM con processori 286 e poi 386 con sistema operativo MS-DOS ma anche i primi MAC/APPLE con applicativi per la gestione del ritocco fotografico. La cinematografia si trasformò in video-produzione. Trasferii la tecnica su pellicola nella tecnica su nastro magnetico. Dotai la mia materia di insegnamento di centralina di montaggio video SONY ¾ pollice  con telecamera tri-tubo JVC. A questo aggiunsi (una delle prime in Veneto) titolatrice di produzione americana VTR con la quale feci fare ai miei studenti esperienze di post-produzione e cortometraggi.


Da questo momento in poi, l’evoluzione della tecnica ebbe il sopravvento nella mia crescita. Prevalse lo stimolo ad utilizzare questi nuovi strumenti messi a disposizione dei creativi di immagini. La necessità di essere costantemente aggiornato per offrire una didattica al passo con i tempi fu preponderante rispetto ad un utilizzo progettuale di questi straordinari strumenti. Credo che questa situazione si verificò in molti creativi durante questo periodo, perdendosi nello sperimentare nuovi strumenti e programmi che l’industria e le “software house” immettevano sul mercato con una tempistica scientifica per far sì che le vendite si mantenessero sempre costanti se non incrementate.


Gli anni “90 segnarono per me il passaggio ad una riflessione sul significato del rincorrere le tecnologie proposte dall’industria informatica. In particolare, dopo anni di trattamento delle immagini con i colori di software che propongono “palet color” virtuali di cui il creativo non ne può governare la gestione, sentii fortemente la necessità di rimettere le mani nel colore reale quello chimico/fisico. Per questo mi rifugiai nella ricerca estetica, però con un approccio nuovo, diverso, fisico. Inizio ‘l’attività con un primo rifiuto. comprendo che, se voglio pensare con la mia testa, devo uscire dalle tecniche digitali che con Adobe ed i suoi programmi di disegno che pre-masticano le idee e consegnano immagini dai colori virtuali: i pixel. Sentii la forte ed intensa necessità di riprendere contatto con la fisicità del colore. Il colore del tubetto non inganna, è quello che è! Ma che cosa fare/dire con un tubetto di colore in mano?


Non avevo più modelli da interpretare o seguire, intuii che dovevo “navigare a vista” con un’unica idea: interpretare la società in cui vivo ma anche criticarla, aiutarla a riflettere sul suo procedere, essere testimone attivo. Un testimone che comunque ragiona con la sua testa magari sbagliando! Ma con il piacere del ricercatore, senza la preoccupazione di dimostrare alcunché. Libero da orpelli intelletuali.


Non posso descrivere l’emozione dell’incontro, dopo tanti anni, del colore vero, quello del tubetto! E’ stato come ritrovare, dopo tanti anni, un carissimo amico che credevi di aver perduto.


Restava l’enigma di cosa rappresentare e di verificare se fossi ancora capace di operare con il colore vero. Mi aiutò in questo frangente ripensare come i miei professori dell’Istituto d’Arte iniziavano le loro lezioni sull’uso del colore: copiare i grandi maestri del passato.



E così feci. Mi scelsi autori con tanto colore e tanto paesaggio. Il primo maestro che copiai (senza pretese di fotocopiare ma con l’intento di capire come usasse il colore) fu il Baciccio dall’opera “Riposo durante la fuga in Egitto (1639-1709)” a cui seguirono il Giambellino con la “Madonna con il Bambino(1500)" ma non poteva mancare il Giorgione/Tiziano di cui riprodussi il paesaggio della “Venere”.



Mi allontanai piano piano dai soggetti classici verso soggetti che garantivano varianti cromatiche. Per cui l’approccio fu verso soggetti naturali vegetali fiori e foglie. Con questo presupposto iniziai ad usare il colore pensandone anche le possibili vibrazioni cromatiche.



La sinuosità delle forme naturali ed i colori mi guidarono in una ricerca del gesto con il pennello affiancato alla necessità di dare una struttura al disegno o al dipinto. Il Mio intento, in queste elaborazioni, era di stimolare all’osservazione più attenta verso la natura utilizzando gli occhi ma anche con la mente, assumendo un atteggiamento di rispetto verso il mondo che ci circonda. Educare l’osservatore attraverso le mie opere ad una visione ragionata del mondo così come fa il fotografo prima dello scatto.



Il passaggio successivo fu quello di caricare di significato le forme che andavo producendo inserendo elementi materici di legno levigati che evidenziassero la bellezza della sua struttura.



La ricerca prosegue tuttora con lo stesso intento: Rapportare l’opera dell’uomo con quella della natura, con un atteggiamento di rispetto ed attenzione. Il messaggio che sottende al mio lavoro è  ricordare all’uomo contemporaneo che la natura è più potente; che l’uomo è esso stesso natura, ma la sua capacità di elaborare la complessità non può essere paragonata a quella della natura. Neppure l’enorme meteorite che colpì milioni di anni fa la terra riuscì a piegare la natura!



Come artista perciò, propongo, con le mie ricerche estetiche ai  miei contemporanei, la prudenza e un atteggiamento di rispetto e umiltà verso la natura. Per questo motivo propongo alla visione (e conseguentemente alla riflessione) dei miei elaborati estetici sia quanto la natura ci pone di fronte ed i comunque notevoli risultati della ricerca dell’uomo “sapiens”.



I miei ultimi elaborati, esemplificano questi concetti mettendo a confronto uno dei prodotti che l’uomo ha prodotto con la chimica ed un prodotto naturale: “i materiali plastici e la piuma, il legno etc.”. Materiali di grande seduzione estetica che dal confronto ci possono indicare nuovi percorsi estetici.


“L'uomo a Una Dimensione” di Herbert Marcuse


« Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico »


Così Herbert Marcuse inizia la sua opera forse più importante, L'uomo a una dimensione. È questo un Marcuse più pessimista rispetto ad Eros e Civiltà, più disponibile ad arrendersi ad un ordine sociale che appare totalitario, che permea di sé ogni aspetto della vita dell'individuo e, soprattutto, che ha inglobato anche forze tradizionalmente "anti-sistema" come la classe operaia. In questo modello la vita dell'individuo si riduce al bisogno atavico di produrre e consumare, senza possibilità di resistenza. Marcuse denuncia il carattere fondamentalmente repressivo dalla società industriale avanzata, appiattisce in realtà, l'uomo alla dimensione di consumatore, euforico e ottuso, la cui libertà è solo la possibilità di scegliere tra molti prodotti diversi.


Herbert Marcuse è stato uno dei pensatori più influenti del Novecento, soprattutto è nota la passione che per lui avevano gli studenti in rivolta nei tardi anni sessanta. Il suo pensiero, intrinsecamente anti-autoritario, rispecchiava la volontà di cambiamento radicale che animava la protesta dei giovani in tutto il mondo occidentale; il suo rifiuto di ogni forma di repressione, il suo secco no alla civiltà tecnologica (in entrambe le declinazioni liberal-capitalistica e comunista-sovietica), lo resero il filosofo del "grande rifiuto" verso ogni forma di repressione.


Per i sessantottini fu anche molto importante il concetto di "liberazione dell'eros", inteso non solo come liberazione sessuale, ma come liberazione delle energie creative dell'uomo dal condizionamento della società repressiva, per la creazione di una società più aperta, fatta di uomini liberi e solidali tra loro. Eros inteso anche come "bello", in opposizione al concetto di dominio della società tecnologica; egli utilizzò l'espressione "società come opera d'arte", ovvero una società più autentica, veramente libera, dominata dalla fantasia e dall'arte come dimensione fondamentale di ogni forma di convivenza.


Il saggio di Walter Benjamin L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica è oggi considerato uno dei testi classici dell'estetica del '900, e continua ad esercitare una forte influenza specialmente per quanto riguarda l'analisi e la valutazione della cultura di massa. Su questo argomento la posizione di Benjamin si distingue da quella degli altri filosofi della Scuola di Francoforte, in quanto Benjamin perviene ad un giudizio sull'arte di massa che non è di netta condanna, ma cerca di evidenziarne sia i rischi sia le potenzialità emancipatorie.


“Manifesto dei Multipli”


"Il Centro Operativo Sincron" di Brescia, proseguendo l'operazione collettiva iniziata nel 1967, presenta cinque nuovi oggetti a funzione estetica prodotti in 250 esemplari, firmati, numerati e garantiti collettivamente.


Il Centro Sincron intende precisare che, essendo i multipli oggetti a due o più dimensioni prodotti in un numero limitato o illimitato di esemplari aventi lo scopo di comunicare per via visiva informazioni di carattere estetico ad un pubblico vasto ed indifferenziato, le loro caratteristiche sono:


il multiplo è ideato dall'autore come tale e non è perciò la riproduzione di un'opera d'arte.


- il materiale e le tecniche di realizzazione di un multiplo sono scelti dall'autore come il supporto più adatto per passare l'informazione estetica, indipendentemente dalla preziosità dei materiali.


- il multiplo tende alla serie illimitata ed al basso prezzo, indipendentemente dal valore "commerciale" dell'autore.


- il basso prezzo dei multipli, strettamente calcolato sul costo di produzione, permette una grande diffusione proprio in quello strato di pubblico interessato all'oggetto e non alla speculazione.


i multipli quindi non sono copie, ma esemplari d'autore.

Corrado Novello


Presentazione “Ricerche Estetiche”



Percorso Artistico

1964/1967 - Istituto d’Arte “P:Selvatico” Padova - Iscrizione alla scuola e conseguo il diploma di maestro d’arte in decorazione pittorica

1964 - Si costituisce il “gruppo Castelfranco” - Aderisco alla libera associazione di giovani artisti che si propone di confrontare idee ed opere, partecipare a mo-stre, informare su attività artistico-culturali etc

1964 - Mostra “La religione nell’arte” Thiene (VI) - Selezionato, partecipo alla mostra con un carboncino su cartone

1965 - Mostra Collettiva “Premio Omaggio a Castelfranco Veneto” - Partecipo alla mostra “Premio Omaggio a Castelfranco Veneto” nella quale viene segnalata la una mia opera che si ispira alla pittura “informale”. Il premio, al quale parteciparono Il Gruppo Ted, il Gruppo N. ed altri importanti artisti italiani contemporanei viene assegnato a Getulio Alviani


1965 - Premio Nazionale di Pittura “Bruno Pendini” Padova - Una mia opera tra le 240 in concorso è selezionata all’esposizione della galleria d’arte “Primo Piano” di Padova

1967 - Fiera di Padova - Selezionato a rappresentare l’Istituto Statale d’Arte “P. Selvatico” con un mio elaborato in plexiglass (modello in scala di un pannello divisorio orientabile)

1967 - Seguo il C.S.D.I.Venezia - Mi iscrivo e conseguo il diploma al Corso Superiore di Di-segno Industriale di Venezia

1968 - Galleria “Sincron” - Sono presente nella mostra collettiva alla quale partecipano: Bigolin, Campesan, Nardin, Niero, Sartorello (artisti accreditati anche alla “Galleria Numero”di Fiamma Vigo

1968 - Manifestazione artistica ad Anfo, lago D’Idro (BS) - Partecipo con Sergio Bigolin alla mostra- evento “Un paese + l’avanguardia”. Viene esposta una struttura mo-bile percorribile ambientata sul territorio.

1968 - Manifestazione artistica a Novara - Mostra- evento “oltre l’avanguardia”

1968 - Milano - “I multipli” Galleria Milano

1967 - Galleria “Sincron” Bre-scia - Partecipo alla iniziativa denominata “Operazione Multi-pli/67” che si ripropone di promuovere ed avvicinare al grande pubblico l’arte “concettuale” con opere artistiche pensate per essere prodotte industrialmente. Il grande ispiratore è Bruno Munari. Vi partecipano numerosi artisti (Gruppo 7) che collaborano con la galleria Sincron (Brescia) di Armando Nizzi

1969 - Espongo alla Galleria “Studio Farnese” Roma - Mostra Collettiva “Proposte 69”. Componente del gruppo di artisti accreditato alla galleria

1969 - Galleria “Il Cerchio”, Roma - Mostra collettiva “Grafica 1969”

1973 - Insegno all’I.S.A. “M.Fanoli” - Sono assunto presso l’Istituto Statale d’Arte di Cittadella (PD) dove insegno fotografia

1974 - Presiedo il circolo cultu-rale ARCI di Castelfranco Veneto Per dieci anni, sono promotore di spettacoli teatrali, mu-sicali, mostre di arti visive, dibattiti, cineforum, etc

1975/1985 - Commissario Edilizio nel comune di Castelfranco Veneto

1990/oggi - Riprendo l’esperienza artistica


Breve Storia


A Compendio del "Curriculum Artistico" per Comprendere l’Evoluzione Tematica


Il mio interesse per il disegno nacque durante la frequentazione della scuola Media (allora non obbligatoria) dipingendo soggetti naturali, in particolare fiori, perché attratto dai colori.


Per questa naturale predisposizione fui indirizzato ad iscrivermi all’Istituto Statale d’Arte “P. Selvatico” di Padova. Fu la scelta migliore che potessi fare!


Nel frequentare l’I.S.A. mi si schiusero nuove prospettive. Il contatto con insegnanti e studenti della scuola d’arte furono un forte catalizzatore verso la creatività. In questo contesto, un piccolo gruppo di studenti della scuola, che da Castelfranco prendevano il treno per Padova, decisero di formare un gruppo allargato di giovani interessati al mondo dell’arte. Fu così che nacque nel 1964 il “Gruppo Castelfranco” al quale aderii con grande interesse partecipazione.



Antonio Niero, artista che nella “Castellana” già operava con discreto successo nel mondo dell’arte contemporanea, fu il mentore del gruppo. Forte delle sue esperienze in quanto componente del gruppo di artisti accreditati nella galleria “Numero” di Fiamma Vigo, orientò il gruppo nelle sue esperienze artistiche apportando le novità che venivano da tutta Italia e non solo.


Il gruppo si ritrovava saltuariamente nelle varie osterie del centro di Castelfranco per discutere, confrontare, apportare notizie, avvenimenti che avessero attinenza con il mondo dell’arte e della cultura.


Il mio inizio artistico fu, come dissi, la rappresentazione di oggetti naturali ma in poco tempo, stimolato da queste nuove esperienze, lasciai la rappresentazione figurativa per una più complessa e astratta.



In occasione del “Premio Castelfranco” (il premiato fu  Getulio Alviani) il gruppo partecipò alla selezione per la sezione giovani pittori e Sergio Bigolin, componente del “Gruppo Castelfranco” vinse il primo premio. In questa occasione, per la prima volta, fu esposto un mio elaborato segnalato dalla giuria. Si trattò di un quadro che riproponeva le tematiche dell’ “action painting” di Jackson Pollock  dove alla casualità del gesto e della gocciolatura tipico di questa tecnica, affiancai il tentativo di domare la casualità orientando il comportamento del colore pur lasciandolo gocciolare.



Il contatto con Antonio Niero e con gli artisti della Galleria “Numero” mi offersero la possibilità di incrociare a Venezia con esperienze artistiche diverse. In particolare alcuni artisti che in quel periodo operarono con Fiamma Vigo, si indirizzarono verso l’arte “programmata” mutuando e rielaborando l’esperienza che proveniva dalle opere del costruttivismo europeo (tedesco prima, russo poi) degli anni “20-30” ed in particolare dalla scuola della  “BauHaus” tedesca.


Il movimento italiano, al quale ci si ispirò, fu il razionalismo lombardo di Mario Radice ma anche al Movimento per l'arte concreta, o MAC fondato tra gli altri da Gillo Dorfles e Bruno Munari al quale aderirono, tra i più famosi: Veronesi, Perilli, Zanuso, Dorazio.


Fu in questo contesto culturale, ma anche storico e più ancora, sociale, che le mie idee presero un direzione che prosegui fino ai giorni nostri.


Devo, a questo punto, un chiarimento per meglio illustrare le motivazioni alla svolta che non fu solo artistica ma anche di vita; una svolta, che credo, coinvolse molti intellettuali italiani in quel periodo. Gli anni sessanta segnarono, secondo me, cambiamenti epocali nella società italiana e perciò nelle persone per diversi motivi.


Ed ecco spiegato il motivo del mio grande interesse per le arti che si preoccupavano o rivolgevano a questa nuova società di cui mi sentivo partecipe e di cui desideravo essere un interprete. L’”Arts and Crafts” di William Morris in Inghilterra, il BauHaus (la scuola di Weimar e Dessau) di Walter Gropius in Germania ma anche tutti I movimenti dell’arte moderna richiamavano a questa nuova società. Sono però i primi due movimenti che, secondo me, intendevano operare ma anche esercitare una forte modificazione ed emancipazione della società emergente. 


“Arts and Crafts” si preoccupava di salvaguardare le regole del buon artigianato rivolgendo il suo interesse alla produzione oggetti esteticamente armoniosi anche se di uso quotidiano presenti nelle case delle classi medie inglesi tra cui carta da parati, tessuti, mobili e vetrate etc.


“BauHaus” la scuola di arti applicate e architettura creati da Walter Gropius  (Weimar, Dessau), raccoglieva l’eredità e le indicazioni del Morris influenzando tutta l’arte moderna.


“L'esperienza del Bauhaus ha i suoi antecedenti nel clima culturale che si era venuto a creare da metà ottocento in Europa, soprattutto nei paesi anglosassoni, nel periodo storico successivo alla rivoluzione Industriale, che aveva prodotto la meccanizzazione dei sistemi produttivi, la crescita del proletariato e iniziato un processo di razionalizzazione e riduzione dei prezzi delle merci.” (Citazione Wikipedia).


Influenzato ed ispirato da queste idee che a me sembrarono calzare perfettamente in quel momento storico in Italia, iniziai una sperimentazione che si poneva questi obiettivi: L’artista dovendosi rendere interprete del proprio momento storico e rivolgere il proprio sguardo alla società sua contemporanea, avrebbe dovuto, nello stesso tempo, contribuire allo sviluppo ed al sostegno della società emergente. Non essere solo testimone, ma interprete, anticipatore e guida al “nuovo” avanzante, potendosi avvalere della propria sensibilità.


La mia ricerca estetica conseguentemente si rivolse ai nuovi materiali che la tecnologia metteva a disposizione del mondo industriale per proporre un nuovo approccio alla figurazione considerando contemporaneamente le nuove idee che il mondo della psicologia della percezione visiva andava proponendo con la “semiotica”. L’incontro con il prof. Silvio Ceccato e le sue teorie sulla cibernetica furono per me illuminanti, come pure le esperienze poetiche della poesia visiva in quegli anni molto avanti nelle sperimentazioni.


Sono gli anni in cui la Biennale d’arte di Venezia del 1966 certifica il ritorno alla razionalità e al rigore. Fu l'anno infatti dell'arte “optical, cinetica e programmata”. Gli spazi espositivi dei Giardini furono dominati dalle installazioni dell'argentino Julio Le Parc, premiato per la pittura e del venezuelano Raphael Soto.


Ed è in questo “brodo di coltura/cultura”  che il mio fare artistico nel 1967 si spostò dall’arte “informale” a quella più concreta e razionale. Impiegai nuovi materiali quali il Plexiglass, che con le sue trasparenze e lavorabilità mi offrirono la possibilità di proporre tematiche che avevan o attinenza con gli effetti ottici abbinati ai giochi cromatici. Il mio tema preferito, da un punto di vista formale fu il quadrato o il rombo (che altri non è che un quadrato ruotato).



In questo stesso anno terminai gli studi all’Istituto d’Arte di Padova e mi iscrissi al Corso Superiore di Disegno Industriale. Fu una scelta quasi automatica.


Conobbi in questa scuola maestri e argomenti che più si avvicinavano alle mie ricerche estetiche. Devo qui citare per riconoscenza, Luigi Veronesi, Italo Zannier, Mario De Luigi, Paolo Torsello, Giuseppe Mazzariol, Cristiano Gasparetto per citarne alcuni, ma non solo. Qui studiai con maggior consapevolezza la storia delle scuole di disegno industriale più sopra citate ma anche ricevetti un’impostazione progettuale che mi seguirà per tutta la vita.


La fine degli anni “60” si conclusero con un grande fermento sociale. Nel 1969 compaiono grandi movimenti tra studenti e operai che sono particolarmente attivi con dibattiti, occupazioni, manifestazioni e scioperi che coinvolsero sia la Facoltà di Architettura Venezia ma anche la zona industriale di Marghera. La nostra scuola ne f u coinvolta e la stessa didattica ne risentì. In particolare si pose il problema della relazione tra il ruolo del progettista e designer industriale nei confronti delle nuove richieste della società del tempo.


In quegli anni ebbero un grande successo gli scritti dei filosofi della scuola di Francoforte quali  Walter Benjamin con il suo libro “L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica” ed Herbert Marcuse con “L'uomo a una dimensione” e “Eros e Civiltà” che trattarono in modo diverso e nuovo i temi dell’estetica nell’arte contemporanea e del prodotto industriale in genere.


Nel 1968 incominciò la mia collaborazione con la galleria “Sincron” di Brescia che produsse una serie di mostre a livello nazionale tra Milano (Galleria Milano) Brescia e Roma (galleria “Studio Farnese” e galleria “Il Cerchio”). Furono collettive dove esposi sia oggetti ma anche grafica (materiali e documentazione andati perduti) di cui conservo i pieghevoli.



Di questa attività l’esperienza che ritengo più significativa fu il progetto “Operazione Multipli/67” fortemente voluto dall’animatore della galleria “Sincron” Armando Nizzi e fatto proprio dal maestro Bruno Munari. Qui di seguito copio/incollo i termini e le caratteristiche voluti da Munari. Con i multipli Munari intende perseguire il progetto di un’arte alla portata di tutti. Qui di seguito il "Manifesto dei Multipli“ scritto da Munari per gli Amici della Sincron in cui si spiega che cosa sono e perché nascono:



Nel 1971 il servizio militare di leva chiuse una fase della mia vita perché conclusi il ciclo di studi al Corso di Disegno Industria di Venezia, interrompendo le attività artistiche e tutti i contatti per più di un anno e mezzo. Lasciai alle spalle un periodo molto intenso di esperienze ma in conflitto con le mie stesse convinzioni. Il movimento giovanile che passa sotto il nome del “68 mi provocò un deragliamento intellettuale. 


Dopo alcune esperienze come grafico pubblicitario mi si offre l’opportunità di insegnare presso l’Istituto Statale d’Arte per la grafica e fotografia di Cittadella. Qui insegnai fotografia. La fotografia è parte integrante della mia formazione come pure la grafica grazie ai maestri Italo Zannier e Giulio Veronesi del C.S.D.I.V.


Negli anni Ottanta promossi come presidente del circolo ricreativo/culturale ARCI di Castelfranco Veneto mostre, dibattiti, iniziative musicali, cineforum.


Nel contempo prodigai il massimo sforzo nell’attività didattica ritenendo la posizione di insegnante privilegiata per promuovere le conoscenze artistiche ma anche professionali e umane degli studenti.


Sapendo quale fosse l’importanza della conoscenza per la promozione sociale avendola provata sulla mia persona, riversai sui miei studenti tutto quello che appresi per metterli nelle condizioni di crescere intellettualmente e realizzare così quel processo di progresso sociale ed umano che con l’azione artistica non riuscii e generare. Fui perciò a scuola un promotore di molte iniziative extra-scolastiche e sempre in prima linea nella gestione delle attività didattiche della scuola. Inutile dire che tutto questo fervore misero in secondo piano le aspirazioni di ricercatore estetico.


Per questo abbandonai la ricerca estetica pura.


Il senso di responsabilità per la formazione dei miei studenti ed il mio desiderio di costante aggiornamento verso le tecniche espressive della fotografia mi tennero costantemente attivo nell’aggiornamento che poi scaricavo nella scuola e nei miei studenti. Questa azione mi spinse a seguire per intero il passaggio dalle tecniche analogiche della foto-cinematografia a quelle digitali. Perciò, dallo sviluppo e stampa con i chimici e dall’uso della pellicola foto/cine passai gradualmente all’utilizzo degli strumenti digitali. In fotografia, a scuola, traghettai la riproduzione nel digitale passando dai primi personal computer IBM con processori 286 e poi 386 con sistema operativo MS-DOS ma anche i primi MAC/APPLE con applicativi per la gestione del ritocco fotografico. La cinematografia si trasformò in video-produzione. Trasferii la tecnica su pellicola nella tecnica su nastro magnetico. Dotai la mia materia di insegnamento di centralina di montaggio video SONY ¾ pollice  con telecamera tri-tubo JVC. A questo aggiunsi (una delle prime in Veneto) titolatrice di produzione americana VTR con la quale feci fare ai miei studenti esperienze di post-produzione e cortometraggi.


Da questo momento in poi, l’evoluzione della tecnica ebbe il sopravvento nella mia crescita. Prevalse lo stimolo ad utilizzare questi nuovi strumenti messi a disposizione dei creativi di immagini. La necessità di essere costantemente aggiornato per offrire una didattica al passo con i tempi fu preponderante rispetto ad un utilizzo progettuale di questi straordinari strumenti. Credo che questa situazione si verificò in molti creativi durante questo periodo, perdendosi nello sperimentare nuovi strumenti e programmi che l’industria e le “software house” immettevano sul mercato con una tempistica scientifica per far sì che le vendite si mantenessero sempre costanti se non incrementate.


Gli anni “90 segnarono per me il passaggio ad una riflessione sul significato del rincorrere le tecnologie proposte dall’industria informatica. In particolare, dopo anni di trattamento delle immagini con i colori di software che propongono “palet color” virtuali di cui il creativo non ne può governare la gestione, sentii fortemente la necessità di rimettere le mani nel colore reale quello chimico/fisico. Per questo mi rifugiai nella ricerca estetica, però con un approccio nuovo, diverso, fisico. Inizio ‘l’attività con un primo rifiuto. comprendo che, se voglio pensare con la mia testa, devo uscire dalle tecniche digitali che con Adobe ed i suoi programmi di disegno che pre-masticano le idee e consegnano immagini dai colori virtuali: i pixel. Sentii la forte ed intensa necessità di riprendere contatto con la fisicità del colore. Il colore del tubetto non inganna, è quello che è! Ma che cosa fare/dire con un tubetto di colore in mano?


Non avevo più modelli da interpretare o seguire, intuii che dovevo “navigare a vista” con un’unica idea: interpretare la società in cui vivo ma anche criticarla, aiutarla a riflettere sul suo procedere, essere testimone attivo. Un testimone che comunque ragiona con la sua testa magari sbagliando! Ma con il piacere del ricercatore, senza la preoccupazione di dimostrare alcunché. Libero da orpelli intelletuali.


Non posso descrivere l’emozione dell’incontro, dopo tanti anni, del colore vero, quello del tubetto! E’ stato come ritrovare, dopo tanti anni, un carissimo amico che credevi di aver perduto.


Restava l’enigma di cosa rappresentare e di verificare se fossi ancora capace di operare con il colore vero. Mi aiutò in questo frangente ripensare come i miei professori dell’Istituto d’Arte iniziavano le loro lezioni sull’uso del colore: copiare i grandi maestri del passato.



E così feci. Mi scelsi autori con tanto colore e tanto paesaggio. Il primo maestro che copiai (senza pretese di fotocopiare ma con l’intento di capire come usasse il colore) fu il Baciccio dall’opera “Riposo durante la fuga in Egitto (1639-1709)” a cui seguirono il Giambellino con la “Madonna con il Bambino(1500)" ma non poteva mancare il Giorgione/Tiziano di cui riprodussi il paesaggio della “Venere”.



Mi allontanai piano piano dai soggetti classici verso soggetti che garantivano varianti cromatiche. Per cui l’approccio fu verso soggetti naturali vegetali fiori e foglie. Con questo presupposto iniziai ad usare il colore pensandone anche le possibili vibrazioni cromatiche.



La sinuosità delle forme naturali ed i colori mi guidarono in una ricerca del gesto con il pennello affiancato alla necessità di dare una struttura al disegno o al dipinto. Il Mio intento, in queste elaborazioni, era di stimolare all’osservazione più attenta verso la natura utilizzando gli occhi ma anche con la mente, assumendo un atteggiamento di rispetto verso il mondo che ci circonda. Educare l’osservatore attraverso le mie opere ad una visione ragionata del mondo così come fa il fotografo prima dello scatto.



Il passaggio successivo fu quello di caricare di significato le forme che andavo producendo inserendo elementi materici di legno levigati che evidenziassero la bellezza della sua struttura.



La ricerca prosegue tuttora con lo stesso intento: Rapportare l’opera dell’uomo con quella della natura, con un atteggiamento di rispetto ed attenzione. Il messaggio che sottende al mio lavoro è  ricordare all’uomo contemporaneo che la natura è più potente; che l’uomo è esso stesso natura, ma la sua capacità di elaborare la complessità non può essere paragonata a quella della natura. Neppure l’enorme meteorite che colpì milioni di anni fa la terra riuscì a piegare la natura!



Come artista perciò, propongo, con le mie ricerche estetiche ai  miei contemporanei, la prudenza e un atteggiamento di rispetto e umiltà verso la natura. Per questo motivo propongo alla visione (e conseguentemente alla riflessione) dei miei elaborati estetici sia quanto la natura ci pone di fronte ed i comunque notevoli risultati della ricerca dell’uomo “sapiens”.



I miei ultimi elaborati, esemplificano questi concetti mettendo a confronto uno dei prodotti che l’uomo ha prodotto con la chimica ed un prodotto naturale: “i materiali plastici e la piuma, il legno etc.”. Materiali di grande seduzione estetica che dal confronto ci possono indicare nuovi percorsi estetici.


“L'uomo a Una Dimensione” di Herbert Marcuse


« Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico »


Così Herbert Marcuse inizia la sua opera forse più importante, L'uomo a una dimensione. È questo un Marcuse più pessimista rispetto ad Eros e Civiltà, più disponibile ad arrendersi ad un ordine sociale che appare totalitario, che permea di sé ogni aspetto della vita dell'individuo e, soprattutto, che ha inglobato anche forze tradizionalmente "anti-sistema" come la classe operaia. In questo modello la vita dell'individuo si riduce al bisogno atavico di produrre e consumare, senza possibilità di resistenza. Marcuse denuncia il carattere fondamentalmente repressivo dalla società industriale avanzata, appiattisce in realtà, l'uomo alla dimensione di consumatore, euforico e ottuso, la cui libertà è solo la possibilità di scegliere tra molti prodotti diversi.


Herbert Marcuse è stato uno dei pensatori più influenti del Novecento, soprattutto è nota la passione che per lui avevano gli studenti in rivolta nei tardi anni sessanta. Il suo pensiero, intrinsecamente anti-autoritario, rispecchiava la volontà di cambiamento radicale che animava la protesta dei giovani in tutto il mondo occidentale; il suo rifiuto di ogni forma di repressione, il suo secco no alla civiltà tecnologica (in entrambe le declinazioni liberal-capitalistica e comunista-sovietica), lo resero il filosofo del "grande rifiuto" verso ogni forma di repressione.


Per i sessantottini fu anche molto importante il concetto di "liberazione dell'eros", inteso non solo come liberazione sessuale, ma come liberazione delle energie creative dell'uomo dal condizionamento della società repressiva, per la creazione di una società più aperta, fatta di uomini liberi e solidali tra loro. Eros inteso anche come "bello", in opposizione al concetto di dominio della società tecnologica; egli utilizzò l'espressione "società come opera d'arte", ovvero una società più autentica, veramente libera, dominata dalla fantasia e dall'arte come dimensione fondamentale di ogni forma di convivenza.


Il saggio di Walter Benjamin L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica è oggi considerato uno dei testi classici dell'estetica del '900, e continua ad esercitare una forte influenza specialmente per quanto riguarda l'analisi e la valutazione della cultura di massa. Su questo argomento la posizione di Benjamin si distingue da quella degli altri filosofi della Scuola di Francoforte, in quanto Benjamin perviene ad un giudizio sull'arte di massa che non è di netta condanna, ma cerca di evidenziarne sia i rischi sia le potenzialità emancipatorie.


“Manifesto dei Multipli”


"Il Centro Operativo Sincron" di Brescia, proseguendo l'operazione collettiva iniziata nel 1967, presenta cinque nuovi oggetti a funzione estetica prodotti in 250 esemplari, firmati, numerati e garantiti collettivamente.


Il Centro Sincron intende precisare che, essendo i multipli oggetti a due o più dimensioni prodotti in un numero limitato o illimitato di esemplari aventi lo scopo di comunicare per via visiva informazioni di carattere estetico ad un pubblico vasto ed indifferenziato, le loro caratteristiche sono:


il multiplo è ideato dall'autore come tale e non è perciò la riproduzione di un'opera d'arte.


- il materiale e le tecniche di realizzazione di un multiplo sono scelti dall'autore come il supporto più adatto per passare l'informazione estetica, indipendentemente dalla preziosità dei materiali.


- il multiplo tende alla serie illimitata ed al basso prezzo, indipendentemente dal valore "commerciale" dell'autore.


- il basso prezzo dei multipli, strettamente calcolato sul costo di produzione, permette una grande diffusione proprio in quello strato di pubblico interessato all'oggetto e non alla speculazione.


i multipli quindi non sono copie, ma esemplari d'autore.

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